16 settembre 2013
Chi sia sopravvissuto
all’ingestione delle mefitiche
combinazioni delle sostanze in essa contenute non
può non ricordare con affetto
le provette e gli alambicchi della Chimica Max.
Proposta in varie versioni negli
anni settanta (io
avevo la Chimica Max 3, acquistata nel 1979) ha
rappresentato la
palestra di biologi e chimici in erba, ma anche diletto di inetti come
il
sottoscritto che, tanti anni fa, scambiando il borbottio delle
bollicine di un
intruglio per un ticchettio, abbandonò la propria abitazione
(senza neppure
avvertire la madre che stirava nella stanza accanto), temendo di aver
creato
una bomba ad orologeria.
Una volta mio padre, ritenendo
pericolosa per il mio
sviluppo la visione di un cartone animato giapponese, mi disse di
spegnere la
tv e di andare a giocare con la chimica Max nell’altra
stanza…
Avevo otto anni.
Strani genitori quelli degli anni settanta.